Il centrocampista del Monza è diventato, partita dopo partita, l’unico giocatore indispensabile per Raffaele Palladino. E questo dopo anni nei quali non si riusciva a capire che calciatore fosse e dove dovesse giocare
C’era un tempo, poco più di tre anni fa, nel quale a Bergamo ci si interrogò sul futuro di Andrea Colpani. Aveva appena terminato la sua prima stagione da professionista in Serie B, in prestito al Trapani, ed era tornato nella squadra che lo aveva cresciuto. C’era chi diceva: è forte, ma… e seguivano dubbi sulla sua capacità di reggere fisicamente alla Serie A; c’era chi diceva: è forte, ma… e seguivano dubbi sul suo utilizzo in campo, quale ruolo avrebbe potuto svolgere. C’era nessuno che in quel ragazzo alto e secco come un palo non ci vedesse del talento, tanto talento. Eppure ben in pochi avrebbero scommesso che quel ragazzo alto e secco come un chiodo avrebbe potuto davvero essere un giocatore adatto al grande calcio. Perché era alto e secco come un chiodo, con gambette più da maratoneta che da calciatore e pochi muscoli sotto pelle; perché era un po’ trequartista e un po’ mediano, perché era un po’ incursore e un po’ regista, e quindi niente di tutto questo.