L’americano ha vinto la corsa a tappe spagnola davanti a due suoi compagni di squadra, Vingegaard e Roglic, che dovevano essere i suoi capitani. Kuss ha però soprattutto battuto i pregiudizi che abbiamo nei confronti del ciclismo moderno
Domenica sera a Madrid, uno dei migliori gregari in circolazione, uno dei pochi che in questi anni è riuscito a disintegrare le resistenze di molti capitani, mai i propri, è salito sul gradino più alto del podio della Vuelta. Al suo fianco c’erano entrambi i suoi capitani: Jonas Vingegaard e Primoz Roglic. O quantomeno quelli che sulla carta sarebbero dovuti essere i suoi capitani. Quasi a suggerirci, ma piano e a mezze parole, che non sempre ciò che si crede ineludibile lo è davvero. Sepp Kuss doveva essere l’ultimo uomo di Jonas Vingegaard e Primoz Roglic, poi, strada facendo, è finito davanti a loro, in un pomeriggio di fine agosto e inizio Vuelta. E non s’è più mosso di lì. Un po’ perché andava forte anche lui, anche se forse meno degli altri due, ma tant’è. Un po’ perché se sei il miglior gregario nella migliore squadra al mondo nelle corse a tappe di tre settimane (e forse non solo), e la Jumbo-Visma almeno negli ultimi tre anni lo è, vuol dire che hai le capacità per finire davanti a moltissimi; un po’ perché proprio perché sei il miglior gregario nella migliore squadra al mondo nelle corse a tappe di tre settimane, devi soprattutto preoccuparti dei tuoi due capitani, e non tanto di loro come persone, ma della loro…